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IL GHETTO DI SENIGALLIA :

 

Durante gli ultimi anni della signoria dei Della Rovere, poco prima del 1631, vivevano a Senigallia  una quarantina di famiglie, per un totale di circa 200 persone.

 

Purtroppo la morte nel 1631 di Francesco Maria II della Rovere che non aveva eredi, fece si che il Ducato di Urbino venisse incorporato nello Stato Pontificio.

 

Il ghetto venne istituito a Senigallia nel 1634, nel luogo ove negli anni Trenta del XX secolo si trovava la piazza Simoncelli.

 

Dopo l’istituzione del ghetto era concentrato a Senigallia il numero maggiore di ebrei marchigiani, che, verso la fine del secolo XVIII, giungevano a seicento, che salivano a 1.000 in tempo di Fiera.

La carenza di spazio era così evidente che per “Sukkot” si dovevano costruire le capanne sui tetti delle abitazioni.

 

La scelta dell’ubicazione del ghetto non fu casuale; il cancello sito tra gli attuali Portici Ercolani e piazza Manni, si apriva direttamente sul lungofiume che all’epoca costituiva il portocanale di Senigallia quindi in posizione strategica per il carico/scarico delle merci commercializzate dagli Ebrei che rimanevano in ogni caso i pilastri dell’economia senigalliese. I traffici mercantili continuarono senza sosta e sempre con maggior prosperità visto i rapporti commerciali che gli Ebrei senigalliesi intrattenevano con quelli della Dalmazia e della Repubblica di Ragusa.

 

Dopo l’istituzione del ghetto, vi fu trasferita la sinagoga, in sostituzione di quella che esisteva nella via del Carmine, denominata  anche via “della Sinagoga”. Nel 1641, la sinagoga  del ghetto fu ampliata e abbellita,  rimanendo in funzione sino al XX secolo.

 

Uno dei problemi che gli Ebrei dovettero affrontare a Senigallia era il prezzo dei canoni di locazione.
Dovendo necessariamente vivere all’interno del ghetto, e non potendo possedere per legge beni immobili, erano tutti condannati a pagare l’affitto ai Cristiani proprietari delle case, i quali, consapevoli dell’inevitabilità della cosa, pretendevano canoni sempre più elevati.

 

Nel 1728, Bartolomeo Castelli, vescovo e conte di Senigallia , pubblicò le Constitutiones synodales,  per regolare in modo molto restrittivo la vita ebraica della città.

 

Nei primi anni Settanta del secolo la situazione economica degli ebrei era tanto problematica, soprattutto per i debiti censuari contratti, da indurre il papa Clemente XIV a imporre per dodici anni un dazio a tutti i mercanti giudei che partecipavano alla fiera di Senigallia, locali compresi.

 

Nonostante l’editto, un documento dell’inizio degli anni Novanta riferisce che, in tempo di fiera, gli ebrei forestieri avevano preso l’abitudine di abitare fuori dal ghetto, provocando un danno economico ai cooreligionari locali che prima traevano guadagno dall’affittare loro case e magazzini al suo interno[11]. Pochi anni prima la peste (1784), provocando la sospensione della fiera, aveva privato l’Università ebraica dei suoi introiti, peggiorandone la situazione economica

 

Il 18 Giugno un contingente russo-turco sbarcò a Marotta e si diresse a Senigallia. Affiancati da cittadini senigalliesi, fecero irruzione nel ghetto trucidando 13 persone, 3 donne e 10 uomini, saccheggiando e distruggendo tutto. La Sinagoga venne profanata ed i “Sefarim”  gettati in strada e calpestati. Gli scampati al massacro si rifugiarono ad Ancona, dove si trattennero due anni. In memoria dell’eccidio venne indetto un giorno di digiuno annuale, seguito da una festa per commemorare l’anniversario della salvezza degli scampati (preghiere in ricordo di tali eventi furono composte, in seguito, dal rabbino Mattatyah Nissim Terni)

 

Dall’inizio del XV secolo, gli ebrei di Senigallia  erano impegnati nelle operazioni finanziarie. Oltre alla presenza di un attivo porto, contribuiva ad incrementare l’attività ebraica la fiera franca che si teneva nella città, durante l’estate, che attirava molti ebrei forestieri, creando un notevole giro di affari ai locali e rimpinguando le casse della comunità.

Altri abitanti del ghetto si mantenevano con il mestiere di raccattarobe, stracciaro e  rivendugliolo.

 

Nel 1848 Papa Pio IX (papa senigalliese, figura controversa e responsabile del “caso Mortara”), decreterà l’apertura dei cancelli dei ghetti dello Stato Pontificio, ma quello di Senigallia non tornerà più allo splendore di un tempo, tanto che pochi anni dopo inizierà la demolizione degli edifici ormai vecchi e fatiscenti dal cui abbattimento risulterà l’attuale piazza Simoncelli.

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